Sentenza n. 58 del 1970
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 58

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 12, 15, 61 n. 3, 171 e 175 della legge 22 aprile 1941, n. 633, sulla protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, promosso con ordinanza emessa il 15 giugno 1968 dal pretore di Barra nel procedimento penale a carico di Russo Diamante, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 14 settembre 1968.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 marzo 1970 il Giudice relatore Angelo De Marco;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale a carico di Diamante Russo, imputata del reato di cui agli artt. 12, 15, 61 n. 3, e 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633, per avere eseguito in pubblico, nel bar da lei gestito, composizioni musicali a mezzo di elettrogrammofono, senza avere ottenuto dalla SIAE il permesso di esecuzione, il pretore di Barra, accogliendo in parte analoga istanza del difensore della imputata, con ordinanza 15 giugno 1968, dichiarava rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei citati articoli della legge n. 633 del 1941 per contrasto con l'art. 23 della Costituzione.

Secondo il difensore della imputata, l'art. 180, che attribuisce alla SIAE in via esclusiva l'attività di intermediaria per la riscossione dei diritti di autore, sarebbe in contrasto non soltanto con gli artt. 18 e 41 della Costituzione, in quanto viene a limitare il diritto di associazione e la libertà della iniziativa economica, ma anche con l'art. 23, in quanto, attribuendo alla stessa SIAE la potestà di determinare, anche in via forfetaria e, quindi, arbitraria, l'importo concreto dei diritti dovuti, le conferirebbe un vero e proprio potere di imposizione patrimoniale a carattere tributario.

Nella citata ordinanza, il pretore, motivava la rilevanza con la considerazione che la dichiarazione di incostituzionalità delle norme denunziate avrebbe determinato l'assoluzione della imputata con la formula "perché il fatto non costituisce reato".

Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, dopo aver rilevato che, in seguito alla sentenza di questa Corte n. 25 del 1968, non poteva più discutersi di incostituzionalità dell'art. 180 suddetto, in riferimento agli artt. 18 e 41 della Costituzione, (dando per ammesso quanto assunto dalla difesa dell'imputata circa la natura di tributo dei diritti in questione) osservava:

Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, per soddisfare l'obbligo sancito dall'art. 23, é necessario che la legge che impone una prestazione patrimoniale indichi i criteri adeguati per delimitare la discrezionalità dell'ente impositore; l'art. 175 della legge citata non indica alcun criterio del genere, ma rinvia la determinazione del diritto erariale dovuto da chi sfrutta l'opera ad un decreto reale, da emanarsi ai sensi dell'art. 3 della legge n. 100 del 1926, oggi abrogata in forza degli artt. 76 e 77 della Carta costituzionale; non risulta, d'altra parte, l'esistenza di successive norme di legge che disciplinino tale materia; ne consegue una imposizione forfetaria ed extra legem da parte dell'ente impositore, sia per quanto riguarda i criteri determinativi dell'ammontare sottoposto a tributo, sia per quelli determinativi dell'aliquota del tributo stesso, in contrasto con il citato art. 23.

Dopo gli adempimenti di legge la questione, così sollevata, viene ora alla cognizione della Corte.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, con memoria d'intervento, chiede che la questione venga dichiarata non fondata, sostanzialmente per le seguenti considerazioni:

a) mentre le norme che nel giudizio a quo debbono trovare applicazione riguardano l'osservanza dell'obbligo del diritto di autore, cioé delle norme che tutelano le opere dell'ingegno, la norma della quale si denunzia l'incostituzionalità é quella dell'art. 175, secondo comma, che non concerne le opere tutelate, ma quelle di pubblico dominio e riguarda più propriamente il diritto demaniale su dette opere;

b) comunque, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, la delega contenuta nell'art. 175, secondo comma, della legge n. 633 del 1941 non é stata mai esercitata, ma con l'art. 5 della legge 6 febbraio 1942, n. 95, é stato fissato tassativamente e senza alcun margine di discrezionalità, l'ammontare del diritto demaniale.

Non vi é stata altra costituzione in giudizio.

 

Considerato in diritto

 

Anzitutto, ai fini del decidere é necessario accertare quali siano le norme denunziate a questa Corte per contrasto con l'art. 23 della Costituzione dato che nella parte dispositiva dell'ordinanza di rinvio non sono indicate e che, siccome l'ultima norma menzionata nella motivazione é l'art. 175 della legge 22 aprile 1941, n. 633, potrebbe sorgere il dubbio che soltanto a questa la denunzia si riferisca.

Al riguardo si rileva che, come chiaramente risulta dal capo di imputazione (reato di cui agli artt. 12, 15, 61 n. 3, e 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633), nel procedimento penale a quo viene attribuita alla imputata la violazione di diritti soggettivi d'autore, ossia di diritti privati di utilizzazione economica dell'opera dell'ingegno.

Appunto a tale materia si riferiscono, infatti, tutte le norme richiamate nel riportato capo di imputazione e, in particolare, l'art. 171, che commina la sanzione penale per chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e con qualsiasi forma, utilizzi l'opera altrui.

La difesa dell'imputata aveva denunziato la illegittimità costituzionale dei citati articoli, come derivante da quella dell'art. 180 della stessa legge, che attribuisce alla SIAE, in via esclusiva, l'attività di intermediario, tra l'altro, per la percezione e la ripartizione dei proventi derivanti dalla utilizzazione economica dei diritti tutelati; art. 180 che si affermava essere in contrasto con gli artt. 18, 23 e 41 della Costituzione, in particolare con l'art. 23, che, secondo la difesa dell'imputata, attribuirebbe alla SIAE il potere di imporre il pagamento di notevoli somme, determinate forfettariamente, senza tener conto della effettiva utilizzazione degli apparecchi, né del numero delle composizioni eseguite.

Il giudice a quo affermava come evidente la concreta rilevanza della questione sollevata "giacché ove le norme succitate (ossia gli artt. 12, 15, 61 n. 3, e 171 della legge n. 633 del 1941) fossero riconosciute incostituzionali" verrebbe meno il reato.

Quanto alla fondatezza, poi, rilevava che essa non si potesse affermare né in riferimento all 'art. 18 della Costituzione, in quanto questa Corte, con sentenza 3 aprile 1968, n.25, aveva già negato sotto questo profilo l'illegittimità della norma denunziata, né in riferimento all'art. 41, in quanto l'iniziativa privata, pur essendo libera, non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale.

Rilevava, invece, che la questione dovesse ritenersi non manifestamente infondata in riferimento all'art. 23 e argomentava dall'art. 175 della ripetuta legge, in quanto il secondo comma di questo ultimo articolo, disponendo che l'ammontare del diritto erariale dovesse determinarsi con decreto reale (da emanare a norma dell'art. 3, n. 1, della legge 31 gennaio 1926, n.100), veniva a violare il principio delle imposizioni per legge, sancito dal richiamato art. 23 della Costituzione.

Si deve, dunque, ritenere che l'ordinanza di rinvio abbia denunciato gli artt. 12, 15, 61 n. 3, 171 e 175 della legge n. 633 del 1941 e che lo abbia fatto solo perché il citato art. 175, ritenuto applicabile in ogni caso, violerebbe la riserva di legge prevista dall'art. 23 della Costituzione.

Così chiariti i termini della controversia é facile rilevare innanzi tutto che l'art. 175, come risulta chiaramente dal suo testo, concerne non il diritto soggettivo dell'autore sulla propria opera (di cui qui si discute), ma il "diritto demaniale" spettante allo Stato sull'utilizzazione delle opere divenute per qualsiasi motivo di pubblico dominio; e che ad ogni modo (come ha esattamente osservato l'Avvocatura generale dello Stato), non con decreto reale, emanato a norma della legge 31 gennaio 1926, n. 100, ma con l'art. 5 della legge 6 febbraio 1942, n. 95, l'ammontare del diritto demaniale é stato tassativamente determinato nella misura del 5 per cento:

quindi non é più a parlare di illegittimità costituzionale del citato art. 175 poiché questa norma si deve oramai interpretare con l'ausilio della legge citata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 12, 15, 61 n. 3, 171 e 175 della legge 22 aprile 1941, n. 633: "Protezione del diritto di autore e di altri diritti connessi al suo esercizio", sollevata con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 23 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 1970.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE  -  Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 15 aprile 1970.